











L’idea di erigere un monumento in memoria dei giudici Falcone e Borsellino, utilizzando il prestigioso marmo Rosso Verona e le effigi in bronzo realizzate dal maestro Albano Poli, rappresenta un’iniziativa di grande valore simbolico e artistico.

Nata il 19 luglio 2019 presso il parco Borsellino, durante la commemorazione della strage di via d’Amelio, questa idea della nostra Associazione Soccorritori Vodae Anioc APS Verona con il Tavolo della legalità, incarna l’impegno nel preservare la memoria di due figure fondamentali nella lotta contro la mafia: i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e tutti i ragazzi delle rispettive scorte scomparsi in servizio.
Il marmo Rosso Verona, con la sua eleganza e imponenza, conferisce al monumento un valore artistico e simbolico importante. Le effigi dei due giudici fuse in bronzo, pensate dal maestro Albano Poli, rendono eterno il loro impegno nella lotta contro la mafia e la loro memoria.
L’aggiunta dei nomi degli agenti caduti nelle stragi, incisi sopra il loro capo, é un tributo doveroso al loro sacrificio e un monito costante contro la violenza e l’illegalità.
Un monumento di questo tipo nel Parco Borsellino , a Pozzo di San Giovanni Lupatoto (VR) rappresenta un luogo di riflessione e di ricordo, un simbolo di legalità e di speranza per le future generazioni, a pochi passi dalla Piazza intitolata a Giovanni Falcone.

Giovanni Falcone
Giovanni Falcone è stato un magistrato italiano che ha dedicato la sua vita alla lotta contro la mafia.
Falcone è nato a Palermo nel 1939. Dopo la laurea in Giurisprudenza, è entrato in magistratura nel 1964. Nel 1978 è diventato giudice istruttore presso il Tribunale di Palermo, occupandosi di reati finanziari.
L’impegno nella lotta contro la mafia.
Falcone ha iniziato negli anni ‘80 ad indagare sulla mafia, periodo in cui quest’ultima era particolarmente potente e radicata nella società. Le sue indagini hanno portato alla luce importanti collegamenti tra mafia, politica e affari.

Il maxiprocesso di Palermo
Nel 1986, Falcone ha coordinato il cosiddetto maxiprocesso di Palermo, il più grande processo mai celebrato contro la mafia, che ha visto alla sbarra centinaia di imputati. Il maxiprocesso si è concluso nel 1992 con numerose condanne, ma ha anche avuto un forte impatto sull’organizzazione mafiosa, evidenziandone la struttura e i meccanismi interni.

“La strage di Capaci” testimonianza dell’Ispettore Capo della Polizia e sopravvissuto alla strage:
– Nel pomeriggio del 23 maggio 1992 Falcone, insieme alla moglie, rientrava a Palermo a bordo di un aereo “Falcon”, per passare il fine settimana nella loro casa.
Ad attenderli all’aeroporto tre macchine corazzate con sei uomini di scorta ed un autista giudiziario.
Alle 17.40 il corteo di macchine é così composto:
- una Croma marrone con alla guida l’agente Vito Schifani, nato a Palermo nel 1965, l’assistente Antonio Montinaro, nato a Calimera nel 1962 e l’agente scelto Rocco Di Cillo nato a Triggiano nel 1962;
- una Croma bianca con il dottor Falcone alla guida, accanto a lui la moglie Francesca Morvillo e seduto dietro l’autista giudiziario Giuseppe Costanza;
- a chiudere il corteo la terza Croma celeste con a bordo il capo scorta Assistente Gaspare Cervello, accanto a lui l’agente scelto Paolo Capuzza e seduto dietro l’agente Angelo Corbo.
Alle 17.58 all’altezza del bivio autostradale di Capaci, nella A29, mani assassine fanno esplodere circa 500 kg di Tritolo più altro materiale, causando la distruzione del tratto autostradale e l’uccisione di tre componenti della scorta: Schifani, Di Cillo e Montinaro e del dottor Falcone e della moglie dottoressa Morvillo.
Miracolosamente sopravvivono all’attentato l’autista giudiziario Costanza e gli altri agenti di scorta Corbo, Capuzza e Cervello.
Dopo la morte Falcone diventa un simbolo della lotta contro la mafia e un esempio di coraggio e dedizione al servizio della giustizia.

Paolo Borsellino
Paolo Borsellino è nato a Palermo nel 1940, nello storico quartiere della Kalsa, lo stesso di Giovanni Falcone, con cui ha stretto un forte legame di amicizia fin da bambino, quando giocavano insieme in piazza. Dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza, a soli 23 anni, nel 1963, è entrato in magistratura, diventando il più giovane magistrato d’Italia.
La sua carriera è stata caratterizzata da un forte impegno nella lotta contro la mafia.
Dopo una breve esperienza come pretore a Monreale, è tornato a Palermo, dove ha iniziato a lavorare presso l’Ufficio istruzione del Tribunale, occupandosi di indagini sui clan mafiosi. In questi anni ha collaborato strettamente con il giudice Rocco Chinnici, che ha avuto una grande influenza sulla sua formazione professionale e umana.
Il maxiprocesso di Palermo
Nel 1986, insieme a Giovanni Falcone e ad altri colleghi, ha fatto parte del pool di magistrati che ha istruito il maxiprocesso di Palermo, il più grande processo mai celebrato contro la mafia.

Strage di via D’Amelio – testimonianza di Antonio Vullo, il poliziotto sopravvissuto:
– Il 19 luglio 1992 egli si recò presso l’abitazione estiva di Paolo Borsellino, a Villagrazia di Carini, insieme a Claudio Traina e Vincenzo Li Muli. Sul luogo sopraggiunsero poi gli altri componenti della scorta: Walter Eddie Cosina, Agostino Catalano e Emanuela Loi. Intorno alle ore 16 il Dott. Borsellino chiamò i due capipattuglia delle autovetture di scorta – Traina e Catalano – per comunicare loro che poco dopo avrebbe dovuto recarsi in Via D’Amelio. Il Dott. Borsellino diede loro le indicazioni occorrenti per raggiungere il suddetto posto, Vullo ascoltando il Giudice aveva capito dove si trovava e si decise che quest’ultimo avrebbe guidato l’auto di testa della scorta.
Dopo avere percorso l’autostrada dallo svincolo di Carini a quello di Via Belgio, le autovetture imboccarono via dei Nebrodi e via Autonomia Siciliana, sino ad arrivare in Via D’Amelio.
Vullo si soffermò perché vi erano numerosi autoveicoli parcheggiati,
Prima che Vullo e Traina avessero il tempo di prendere qualsiasi decisione, il Dott. Borsellino li sorpassò e posteggiò la propria autovettura al centro della carreggiata, davanti al cancelletto posto sul marciapiede dello stabile.
Vullo fece scendere dalla propria autovettura gli altri componenti della scorta per dar luogo ad una bonifica all’interno dello stabile, e si spostò in corrispondenza della fine di Via D’Amelio, per impedire l’accesso di altre persone.
Uscito dall’abitacolo del veicolo, Vullo vide che il Dott. Borsellino era andato a pressare il campanello del cancelletto ed aveva acceso una sigaretta; accanto a lui vi erano l’agente Catalano e la Loi, mentre Traina e Li Muli stavano tornando indietro dato che il portone di ingresso era chiuso.
Qualche secondo dopo, il Dott. Borsellino e i componenti della scorta entrarono all’interno del piccolo cortile nel quale vi era il portone dello stabile. Vullo vide che Cosina era fermo davanti all’altra autovettura, e pensò quindi di avvicinare ad essa anche l’autoveicolo da lui condotto, in modo da essere pronti per ripartire.
Durante questo spostamento, vide che il Dott. Borsellino e gli altri componenti della scorta erano fermi davanti al portone di ingresso dello stabile, dove il Magistrato stava pigiando sul campanello.
Mentre Vullo stava posizionando l’autovettura al centro della carreggiata, egli venne investito da una corrente di vapore e polvere ad altissima temperatura all’interno dell’abitacolo. Sceso dal veicolo, si rese conto di quanto era accaduto; sul luogo era calata una pesante oscurità, e le condizioni di visibilità erano estremamente limitate. Egli si pose alla ricerca degli altri, pensando che fossero ancora vivi. Si incamminò quindi in direzione di via Autonomia Siciliana, quando vide il piede mozzato e brandelli di carne dei colleghi per terra, fu raggiunto dai primi soccorsi e condotto in ospedale.
Contesto
Le stragi avvennero in un periodo di forte tensione politica e sociale in Italia, caratterizzato dalla lotta dello Stato contro la mafia e dalla crisi della cosiddetta Prima Repubblica. Gli attentati furono eseguiti da Cosa Nostra, la mafia siciliana, come risposta alle azioni di contrasto al crimine organizzato portate avanti dai giudici Falcone e Borsellino.
Significato
Le stragi di Capaci e via d’Amelio ebbero un profondo impatto sull’opinione pubblica italiana e rappresentarono una tragica escalation nella lotta tra Stato e mafia. La morte dei giudici Falcone e Borsellino, simboli dell’impegno contro la mafia, suscitò sdegno e indignazione, portando a una maggiore consapevolezza del problema mafioso e a un rafforzamento delle azioni di contrasto.
Conseguenze
Le stragi ebbero importanti conseguenze sul piano politico e istituzionale, portando a una serie di riforme legislative e a un’intensificazione della lotta contro la mafia. Inoltre, esse contribuirono a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla gravità del fenomeno mafioso e sulla necessità di un impegno comune per sconfiggerlo.